Le spazi d’arte di Firenze, con apertura al pubblico domenica 21 marzo 2021, dalle 11 alle 19.30, danno vita al progetto Primo Vere, nato su idea del direttore del Museo Novecento di Firenze, Sergio Risaliti. La Portineria partecipa con la mostra di Marco Mazzoni Two Drawings and a Carpet, a cura di Matteo Innocenti.
L’iniziativa nasce in coincidenza più che simbolica con la primavera, e il titolo rinvia al primo libro di poesie del giovane D’Annunzio. Sei spazi d’arte (Frittelli, Il Ponte, La Portineria, Poggiali, Santo Ficara, Secci) si sono riuniti per contribuire ad un segnale di rinascita culturale della città abbracciando il progetto di esporre giovani artisti che vivono o gravitano stabilmente in città.
Primo Vere è un’iniziativa che apre uno spiraglio di generosità e di attenzione nei confronti del talento creativo. Un’occasione per verificare l’esistenza di un sistema artistico locale e quella di una vitalità creativa radicata nel territorio. Ciascuna galleria presenterà il lavoro di uno o più artisti, coordinati dalla supervisione scientifica dello stesso direttore Risaliti.
Gli artisti selezionati sono: Jessica Fillini, Veronica Greco, Melissa Morris, Gianluca Tramonti, Regan Wheat (Frittelli Arte Contemporanea); Jacopo Buono, Matteo Coluccia, Stefano Giuri (Galleria Il Ponte); Marco Mazzoni (La Portineria); Francesca Banchelli, Ilaria Lupi, Virginia Zanetti (Galleria Poggiali); Davide D’Amelio, Gabriele Mauro (Galleria Santo Ficara); Max Mondini (Eduardo Secci Contemporary).
Marco Mazzoni
Two Drawings and a Carpet
a cura di Matteo Innocenti
“…ogni tratto inscritto sul foglio denega il corpo importante, il corpo carnoso, il corpo umorale; il tratto non dà accesso né alla pelle né alle mucose; ciò che esso dice è il corpo che graffia, sfiora (si potrebbe arrivare a dire: solletica); con il tratto l’arte si sposta; il suo centro non è più l’oggetto del desiderio (il bel corpo scolpito nel marmo), ma il soggetto di questo desiderio: il tratto, per quanto soffice, leggero, o incerto, rinvia sempre a una forza, a una direzione: è un energon, un lavoro, che invita a leggerela traccia della sua pulsione e del suo dispendio. Il tratto è un azione visibile.”
da L’ovvio e l’ottuso di Roland Barthes
Il progetto di Marco Mazzoni Two Drawings and a Carpet*, per La Portineria, assume a stimolo iniziale la particolarità dello spazio: interpretandolo, considerandone la misura e ampliandolo, fino a restituire uno stato di “potenzialità” che è insieme da guardare e da percorrere.
Il titolo si riferisce in modo diretto ad alcune delle nuove opere dell’artista che, qui, vengono poste tra loro in relazione quali elementi di una possibile narrazione. Il tratto veloce, quasi impulsivo, che emerge dalla superficie di carta dei disegni assume la forma di cani latranti – attacco, difesa, pura energia? ad ogni modo restano estranei a uno specifico intento descrittivo – e la composizione manuale del tappeto al suolo diventa una dimensione fisica esperibile.
Two Drawings and a Carpet è dunque un discorso aperto il cui centro sta nell’insieme di forze, tra loro in rapporto di concordia e opposizione, che vengono scaturendo dagli elementi formali stessi.
Ci sono alcuni aspetti della ricerca e della pratica dell’artista che qui mi interessa porre in particolare rilievo.
Dapprima una considerazione sulla componente “performativa”, riferendoci al termine secondo la declinazione che viene impiegata nell’ambito delle arti visive. Marco Mazzoni è parte di Kinkaleri, gruppo che opera “fra sperimentazione teatrale, ricerca sul movimento, performance, installazioni, allestimenti, materiali sonori” – e lo è spesso come performer, nella varietà estrema di situazioni e spazi in cui il gruppo stesso interviene. Nella sua ricerca individuale tale performatività resta pur presente, però non con i caratteri di evidenza tramite cui essa ormai tradizionalmente si avvera (corpo, azione, pubblico), piuttosto divenendo parte essenziale – ma implicita – del processo che porta alla creazione di un’opera materiale. La performatività diventa una sorta di attitudine, una prassi acquisita la cui peculiarità non è più quella di rendersi manifesta qui e ora. Ciò è ben percepibile sia nei disegni – per quella immediatezza del tratto che la citazione di Barthes in apertura di testo illustra in modo intrigante: il tratto come corpo che “gratta, sfiora, solletica”, e anche per l’intervento successivo di strappo che talvolta l’artista agisce su alcuni di essi – sia nel tappeto, il quale ha sì una presenza oggettuale ma correlata all’evidenza della sua minuta composizione, ovvero, letteralmente, all’azione di comporre delle parti identiche congiungendole una all’altra: tagliare, accostare, unire, consolidare, lasciare aderire, singole azioni portate avanti dall’artista con dedizione, nel corso di una fase preparativa e installativa lunga.
L’altra considerazione riguarda il rapporto con la manualità, che si porta dietro anche la relazione rispetto a un modello. Operare con le mani, in modo inevitabile – è la sua propria caratteristica – significa risultare imperfetti rispetto a un riferimento, sia esso di tipo naturale o artificiale. La casa non sarà mai un parallelepipedo perfetto, come il ritratto pittorico non sarà identico rispetto all’originale di carne e ossa – per raggiungere la massima vicinanza si ricorre allora alle tecniche automatizzate, le quali a loro volta presuppongono vari gradi di soggettività, volontaria o meno; il dibattito storicamente è ben noto e, ormai, datato. Quanto invece vorrei rilevare è che l’imperfezione – di cui l’unicità sta a corrispettivo, ovvero la bellezza che si apprezza del fare manuale rispetto a un termine – risulta meno visibile in arte perché in linea di massima nella contemporaneità o le forme non hanno un riferimento specifico (quanto è stato reso possibile dalla lunga linea che dall’astrazione va all’informale sino agli sviluppi successivi) oppure se lo hanno si preferisce ricorrere a tecniche e specialisti che portino al minimo lo scarto. Mi interessa che il tappeto in mostra sembra rifarsi a una griglia elementare, una sorta di schema geometrico, e a una vista d’insieme rispettarlo in pieno; salvo poi accorgersi che i collegamenti sono lievemente diversi, o meglio, sono come era possibile che fossero nell’istante della loro esecuzione. Quindi, anche in questo caso, un sistema apparentemente neutro rivela la personalità dell’autore.
In linea generale la mostra ha proprio in ciò la sua natura: un lasciar sentire al posto della descrizione. Sono parole a cui siamo già ricorsi e che ripetiamo ancora: tensione, potenza, forza. Che qui stanno accostate, si toccano e collidono, in un rapporto che varia costantemente tra similarità e contrasto. E noi, che guardiamo percorrendo lo spazio, vi siamo dentro.
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030420, 2020 – pennarello su carta, 100x74cm
280320, 2020 – pennarello su carta, 100x74cm
Artifact#2, 2021 – tnt, 235x360cm